lunedì 9 gennaio 2012

Gradini verso il cielo 08012012


Gradini verso il cielo
(canale Ovest del Monte Pollino – 8 gennaio 2012)

Quando corro ringrazio il Buon Dio perchè mi da la forza,
Quando arrivo in vetta ringrazio il Buon Dio perchè mi da coraggio,
Quando guardo il panorama ringrazio il Buon Dio perchè tutto è Suo Creato.
(da una mail di Gerardo D.)


E' ancora notte e conto le ore, i minuti lenti a passare: fra un po' si ritorna a calzare gli scarponi e la montagna imbiancata già freme dentro. Ormai è quasi ora e mi alzo per dar sfogo a questa frenesia.
Come fosse la prima volta controllo e ricontrollo tutto il materiale dentro e fuori lo zaino, dubito se alleggerirlo di qualcosa, quale pile inserire come exstra: succederà, già lo so, che qualcosa di troppo viaggerà sulle spalle e qualcos'altra utile rimarrà a casa.
Chiusa la porta di casa che fuori è ancora buio, il cielo mi sembra incerto ma dentro sento che potrebbe essere una giornata "giusta". Con Franco non ci siamo dati un indirizzo preciso per la giornata ma sento, e credo anche lui, che la meta possa essere la vetta del Pollino dal canale che parte dal Colle Gaudolino, più volte osservata solo dal basso o nelle foto degli amici.
L'aria è fredda mentre ci si aspetta al solito posto e solletica mille pensieri. Il viaggio passa veloce e ci ritroviamo con il cofano aperto a decidere i materiali da portare: "Viaggiamo leggeri, piccozze e ramponi saranno sufficienti e se saliamo si va in libera".
Lasciamo praticamente tutto in macchina, anche in bella vista, quasi non convinti di quello che dobbiamo fare. Salutati gli altri, ciaspole ai piedi alle 11,00 o poco più, sicuramente già un po' tardi, siamo al colle Gaudolino a guardare la via, cercando di dipanare mille dubbi e provando a sostituirli con altrettante certezze. Un cielo azzurro ci invoglia a muoverci ed alle 11,30 siamo a gradinare con buona lena fra i faggi, alternandoci e, soprattutto, cercando di non entrare nella faggeta giovane ma rimanendo ai margini,  sulla sinistra della slavina che una ventina di anni fa (credo) è scivolata dal canale rinnovando in un baleno la vegetazione che, oggi coperta di ghiaccio, brilla al sole.
La progressione è veloce all'inizio e siamo già alle rocce incastonate di loricati lucenti di bianco.

 
Il manto superficiale sfonda un po' ma almeno la neve tiene e, finchè nell'ombra, ci si muove bene. Siamo felici di aver centrato subito l'attacco del canale, tenendoci a sinistra della faggeta giovane e iniziamo a salire fiancheggiando le rocce; il sole ormai non ha più ostacoli, è mezzogiorno e la temperatura sale con la neve che purtroppo diventa pappa. Intorno ai 2000 metri la progressione non è così facile come prima e, sarà per l'inclinazione o per il calore che ammorbidisce il manto, con qualche timore celato, ci troviamo a fatigare di brutto senza progredire granchè: ma siamo immersi in un luogo fiabesco con i loricati, così ricamati di bianco, mai visti così vicini, che invogliano ad andare.


A 'quattro mani e quattro piedi' progrediamo pochi metri distanti sempre scambiandoci una parola di condivisione, incoraggiamento, supporto. Tuttavia siamo lenti ed il sole incalza: iniziamo ora a stare attenti ai pezzi di ghiaccio che rotolano staccandosi dalle rocce che si riscaldano: qualche pezzo ci sfiora e siamo sempre con la testa in su a cercar di beccarli sulla partenza per, eventualmente, scansarli. Mai come ora capiamo quanto sciocco sia stato lasciare i caschi (almeno quelli) in macchina e alla sera l'incontro con Narduzzo ce lo ricorderà nuovamente (e per chi legge: portate sempre il casco nello zaino, non pesa niente ma è sostanziale). 


Finalmente siamo fuori dal canale, sulla cresta che ci divide dai Piani di Pollino, un po' stanchi ma molto felici è sicuramente molto in ritardo (almeno rispetto a coloro che aspettano più in basso). La cresta è gelata e, nell'ombra del Nord, vetrata soprattutto sulle rocce: un vento teso e freddo ora ci gela il sudore e ci accompagna per l'ultima cinquantina di metri che ci servono per raggiungere la vetta a toccare il pilastro di cemento, il trigonometrico che segna la cima del monte Pollino. Tutto quello che si erge dal suolo è disegnato, o meglio, scolpito dal vento e dal ghiaccio, un'immagine curiosissima, un vento freddo che vorrebbe ricoprire di ghiaccio anche i nostri corpi e la nostra macchina fotografica che, per qualche minuto al vento, smette di funzionare. 


Ci copriamo velocemente e siamo così radiosi per avercela fatta: alle 14,45 scattiamo qualche foto di vetta e presi due fichi secchi dallo zaino iniziamo a scendere verso Sud dove velocemente recuperiamo anche un po' di calore: ricordiamo così di non esserci nemmeno abbracciati e lo facciamo con grande gioia, consapevoli che siamo saliti così affiatati da essere idealmente abbracciati in uno con la montagna che oggi è qualcosa di speciale che forse solo le foto potranno in parte comunicare.


Raggiungiamo la dolina bassa del Pollino che ora si sta lavando e riluce da ogni parte: le bianche superfici sono quasi completamente ammantate di un velo d'acqua che scorre sul ghiaccio mentre la montagna risalta nel blu: piccoli esseri, ora siamo immersi in questa quiete immensa e siamo consapevoli di aver vissuto una giornata unica, indimenticabile che rincorrevamo da tanto, noi con tutti questi arnesi e con le nostre corde, legacci di illusioni e progetti di montagna fuori dall'ordinario e forieri di continue derisioni e contrasti con il "mondo normale".


Oggi, questi sprazzi di momenti felici sono nostri, scolpiti, come il vento ha scolpito il ghiaccio, nei nostri cuori  così smaniosi di salire a toccare il cielo.
Riscendiamo velocemente dalla "pietraia" completamente immersa in pappetta di neve che rende difficile ogni passo che sprofonda in malo modo.
Siamo quasi al colle Gaudolino e, fra le ombre lunghe, rivediamo i segni di rampone che abbiamo lasciato stamattina nell'incertezza della via da seguire: i primi gradini della giornata, i nostri gradini verso il cielo. 


 
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Alla prossima















 

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