giovedì 6 maggio 2010

Iannace (01052010)

 
Iannace

Ormai non c'è più modo di conoscerci sulla superficie: le nostre pelli hanno già sfidato il contatto ed il contrasto uscendone ancora più unite.
È questa amicizia che ci porta al solito a metterci in cammino, a guardare fuori per scrutarci dentro, ognuno nelle proprie incertezze, ognuno nel proprio riserbo forte della comprensione che non vuole conoscere perchè.

Ci troviamo così all'inizio del fosso di Iannace, a quota 1260 metri circa, non ci sono dubbi stamane il tempo è bello una vetta, la serra di Crispo ci aspetta. A questa quota gli alberi sono già in piena vegetazione ed il verde colora già l'aria: non c'è molto da pensare ed il sentiero che costeggia il torrente è già sotto i nostri passi, passi svelti che vogliono cercare ancora una volta il contatto con quetsa terra vergine, appena sveglia dopo il disgelo. Tracce di bianco ci salutano in punti più in ombra e l'aria fredda portanta dalla corrente ci fa pensare che quassù l'inverno non è proprio andato e la primavera stenta a riscaldare la terra.

Gli animi sono caldi, proseguiamo fra poche chiacchiere e qualche risata a superare il dislivello che ci separa dall'ultimo ponte: oggi la traccia è obbligata, tanta è ancora l'acqua disciolta dalle nevi per provare ad arrivare fin sotto alle gole che segnano il fosso delle Carceri. Un ponte spezzato, finoall'anno scorso ancora solido anche se un po' traballante, in balia della corrente mi fa riflettere di quanto possa essere violento il risveglio da queste parti e quanto possa il peso dlla neve decidere sulla forza delle cose: attraversiamo parti di bosco un po' inclinate dove l'acqua in contrasto con le radici ha modellato un pendio che fa da sponda al torrente; si sale e la luce inizia ad impadronirsi del bosco e del fosso anche se fra un po' la vegetazione nuova ricostruirà un tetto di foglie e di frescura ideale per le calde giornate estive. Questi faggi, antichi custodi di questo posto, non lasciano spazio a vedute profonde: ci si limita a guardare lungo il tratto scavato dal torrente per cercare un po' di profondità. Superato l'ultimo ponte in pochi minuti siamo al piano di Iannace superbo nel suo verde sotto il sole. Fiori di ogni genere contrastano questo verde ed il profumo dei narcisi in fiore ingentilisce l'aria, in basso marca fortemente i profumi quasi voglia stordire i passanti per non consentire che si muovano a violare i primi verdi dopo il risveglio.


Il contrasto degli abeti verdi sul rosso invernale dei faggi ancora in veste assopita diopo il lungo inverno ha oggi un altro sapore, non quello dell'autunno quando un po' di verde e giallo lo stemperano e gli donano sfumature indescrivibili, ma un contrasto che presto sparirà rendendo abeti e faggi molto simili nel variegare del verde delle chiome.
Sempre di piccola portata la sorgente Iannace quasi ai margini della strada in compagnia del masso muschioso, ci disseta con acqua dalle cime: grandi faggi sono qui casa del lupo, della lepre, della volpe ed i cinghiali, penso, trovano riparo e radici nelle estati più calde: ormai delle cime si sente l'odore e i pini loricati iniziano a prendersi incontrastati i loro spazi, unici esmplari arborei in grado di resistera a queste quote a venti freddi e gelate intense. 


Siamo così radiosi, non vediamo altro che immaginari percorsi di salita che ci fanno ora muovere in direzioni alterne senza particolari vie obbligate. L'intenso profumo dei loricati e della loro resina che si scioglie sotto i primi soli caldi non può non respirarsi a fondo così come piccoli insetti nascosti nell'erba non possono non saltare al nostro passaggio. Tutte le cime sono ora visibili più o meno innevate ed in lontananza il mare appare nella foschia a delineare la linea di costa. Ogni volta mi sorprendo ad osservare questi loricati che seppur morti già da tanti anni rimangono qui immobili, sentinelle a guardia, come cavalieri imperturbabili davanti al proprio destino.



Non si può non amare questi posti, non si può nemmeno pensare che una qualsiasi opera possa rivalutarli: rifletto su questo insano concetto di rivalutazione, usato ogni volta che si vuole andare oltre il naturale corso delle cose. La rivalutazione non può che essere un fatto interiore, che matura anche in virtù della fatica fatta per raggiungere e toccare da vicino questi posti incontaminati: è sempre questione di rispetto: chi pensa e propone che questi luoghi possano essere guadagnati e vissuti tramite macchine e strumenti a cui si chiede di annulare la fatica della montagna è su una strada dannosa, per la nostra terra e per questi luoghi. L'effimero non è opportuno qui, solo essenzialità ed umiltà per respirare e vivere questi luoghi.
Grazie compagni di viaggio per questa ennesima giornata “fuori”









Alla prossima

Le foto sono opera di Franco O. e Rocco C.